Monte Vicino, che si alza ad ovest del Montiego, a 830 m di altitudine si stende con vasti pianori e praterie fino all’orlo dell’Umbria, e per secoli rimase entro la giurisdizione ecclesiastica di Città di Castello. Andando per ruderi, si trovano ancora ingenti pezzi di muraglia diruta tra la fitta vegetazione. Sono le rovine del castello di Montevicino, che passò (verso il 1200) al cardinale Ottaviano Ubaldini divenendo contea di questa influente e antica famiglia, rivale alla finitima famiglia dei Brancaleoni, finchè entrambe furono più o meno pacificate sotto la dinastia dei Montefeltro. Perciò tra questi monti che si fronteggiano, si scrutarono, per secoli, dai loro fortilizi bellicose famiglie, dando origine alla sanguinosa faida tra gli Ubaldini, che si fregiavano del titolo di Conti di Monte Vicino, e i Brancaleoni che fecero istoriare in qualche scorcio di pittura del loro palazzo le vicende più truci di questa storia. Il Castello di Monte Vicino era munito anche di un rifugio per viandanti (ospedale) e si trovava sul tracciato di una strada antica che collegava la valle del Tevere e la valle del Metauro.

Secondo la leggenda tra le rovine del castello è sepolto, in un pozzo, il tesoro degli Ubaldini consistente in un telaio d’oro massiccio per la filatura della lana. Come il Montiego anche il Monte Vicino si presenta con una vasta area rilevante di interesse floristico, mirabile soprattutto nella fioritura primaverile. Praterie sommitali si succedono a boschi dove la commistione di specie arboree autoctone si mescola a recenti rimboschimenti artificiali. Non a caso in questo teatro naturale e storico si è affacciato uno dei naturalisti più importanti del rinascimento: lo scienziato Costanzo Felici che ha documentato con vari trattati gli alberi e funghi, le insalate e gli usi alimentari e tutta quanta l’avifauna dell’Appennino marchigiano.